Gestire le emozioni d’aula – Formazione formatori
Gestire l’aula didattica è come gestire il pranzo di Natale con i familiari; quand’anche tutto andrà benissimo, il giorno dopo saremo “da buttare”. Anche se sarà un susseguirsi di emozioni positive ed esaltanti, anche se ci faranno il plauso per l’ottima riuscita dei piatti, la standing ovation per il ricco menu, anche se non ci sarà una minima sbavatura negativa, anzi tutta l’esperienza potrà essere riassunta con la parola “entusiasmante”, domani non avremo da dare resto a nessuno. I pensieri della notte saranno univoci e l’adrenalina non ne vorrà sapere di diminuire. È andato tutto bene? Continueremo a chiederci. Solo che Natale è una volta l’anno; se invece, come penso, fate spesso i formatori, la faccenda si prospetta delicata. Bisogna che impariamo a smaltire, a ricaricare, ad andare a letto con zero pensieri. Vediamo un po’ come fare.
Come gestire le emozioni positive vissute nell’aula di formazione
Quando parliamo di gestire le emozioni d’aula, ovvero quanto accade dentro di noi prima, durante e dopo la sessione formativa, apriamo un universo che avrebbe bisogno di tantissimo approfondimento. Qui oggi prendo in considerazione come ci sentiamo nei casi di esperienza d’aula gratificanti ed analizziamo insieme come reagiamo e come fare per riuscire a vivere con serenità la fase successiva alla giornata o al momento formativo. Il dopo, in pratica.
Ho vissuto molte aule di formazione belle, anche molto diversificate tra loro come utenza, interventi gratificanti ed emozionanti; da occhi lucidi… Indimenticabili! Al termine di quelle sessioni formative le sensazioni erano sempre le stesse: voglia di star da sola, incapacità di condividere qualsivoglia emozione con chiunque, incapacità di trovare riposo. Al contrario delle aule che ci hanno fatto sudare, la formazione ben riuscita ha altri connotati nel post evento. Ma in entrambi i casi bisogna tenere conto che le emozioni sono forti e prepotenti, non se ne vanno da sole, né basta un colpo di spugna; non si può far finta di niente: le emozioni vanno gestite.
La gioia di aver fatto un bel lavoro
La situazione interiore che ci si ritrova a vivere più tipicamente dopo una lezione / formazione / didattica ben riuscita è felicità a mille, senso di pienezza, oserei dire anche deificazione di se stessi: avere la consapevolezza di aver trasmesso un sapere fa sentire bene, fieri di sé, certi di aver aiutato l’umanità. Di aver contribuito a modo nostro al progresso culturale. Sensazione che non ha prezzo.
Hai guardato il tuo allievo / la tua allieva e ti sei compiaciuto; col più bravo normalmente c’è una sorta di identificazione, di rispecchiamento, ci si rivede; le difficoltà che comprendiamo meglio sono le difficoltà che noi stessi abbiamo avuto, mentre quelle su cui siamo più intransigenti sono quelle che ancora non hanno trovato soluzione. Ma tranquilli: gli allievi sono lo specchio dei vizi del maestro… Non tarderanno a farveli notare.
E qui introduco il fattore emotivo che alla fine della lezione ci assalirà, quando invece speravamo che tutto finisse uscendo dall’aula. Insegnare vuol dire imparare; due volte. Che sia una lezione molto ben riuscita oppure no, ciò che ha un peso notevole è il fattore emotivo. Siamo così orientati all’ottima riuscita e di conseguenza al feedback che ne otterremo che tutto dovrà potersi riassumere in:
- è andata benissimo;
- è andata malino (malissimo per i disfattisti…).
Del resto, a chi interessa che la lezione vada così e così? Nessuno di noi vuol essere mediocre in aula.
Dice Daniel Kahneman che di un’esperienza noi tendiamo a ricordare ciò che vogliamo, non ciò che è stato realmente, per dirla in soldoni. Per chi volesse approfondire, metto qui un suo famoso speech in cui spiega proprio la relazione tra memoria ed esperienza.
Gli effetti collaterali del fare il formatore
Chi insegna può nella vita reale poi, come conseguenza, soffrire di crisi di identità, senso di inferiorità, senso di inadeguatezza, addirittura crisi di panico. La gestione delle emozioni è una sfera sottovalutata in questo contesto lavorativo; basti chiedersi: quale ente di formazione o associazione culturale può vantare all’interno del proprio organico un supervisore, uno psicoterapeuta o un consulente filosofico preposto ad aiutare i formatori a gestire le emozioni vissute in aula? Magari fosse! Sicuramente qualche scuola ben strutturata ha questa figura. Sicuramente è prevista per i ragazzi e i bambini. Ma per gli insegnanti? Se qualcuno ne è a conoscenza può benissimo condividerlo nei commenti.
In Italia non diamo così importanza all’impatto delle emozioni che può vivere un insegnante e lo si capisce proprio da questo: finita l’aula si va tutti a casa e non è successo niente. Dentro il corpo dell’insegnante, del formatore, dell’educatore in realtà c’è peggio del fuoco di Sant’Antonio…
Io personalmente ho avuto in un periodo passato problemi di salute; avevo sostenuto molte giornate di formazione professionale in un tempo concentrato; uno dei possibili effetti negativi generati da questo lavoro è anche questo: ci si sfida a valutarsi, si cade in una maledetta trappola da performance. Vediamo quante aule riesci a reggere in modo consecutivo, mi ero detta. E avevo fatto per 5 mesi dai 3 ai 4 giorni di lezioni alla settimana per 8 ore al giorno, con aule sempre diverse, anche la mattina dal pomeriggio. Tutta formazione obbligatoria: nessun allievo aveva scelto di stare lì. Una follia! Nello specifico, la follia della formazione trasversale di apprendistato.
Ho visto perciò in pochissimo tempo centinaia di corsisti; ma non li ho solo visti, li ho vissuti! Tutt’altra cosa!
Cosa avevo ottenuto da questa full immersion? Il mio ciclo ormonale si era sfasato, il mio atteggiamento era perennemente sulla difensiva e ormai soffrivo d’insonnia. Per fortuna avevo già smesso di fumare. Ci ho messo molti mesi a capire che avevo bisogno di disintossicarmi. Tra l’altro senza le coordinatrici dei vari enti mi sarei presa minimo una nevrosi: col loro aiuto invece (sostegno perenne e incondizionato) sono riuscita a portare a termine tutti gli incarichi, cosa non da poco. Inoltre ho compreso che quello che avevo fatto, nel modo in cui l’avevo fatto, non era da ripetere.
Di certo ho capito che l’ambito della formazione mi piace moltissimo, ma l’aula è una vicenda che va vissuta a piccole dosi. Non è un caso che i professori abbiano quel numero di ore settimanali a scuola. E sono anche molte, dal mio punto di vista!
Formare qualcuno necessita energia
Nella formazione privata / professionale bisogna saper dosare il tempo da dedicare all’insegnamento o si corre il rischio di andare fuori di testa. Anche se siete bravissimi e ogni lezione è un vivere una gloria personale. Formare qualcuno vi prosciuga; e non parlo solo in riferimento agli allievi “vampiri di energia”, parlo anche di allievi che vi vogliono bene e vi stimano.
Dei vampiri parliamo sicuramente un’altra volta.
Dedicare le nostre attenzioni formative a qualcuno con zelo e partecipazione ci lascia spogliati, inermi, annichiliti. Eppure, con un carico adrenalinico assurdo! Questo contrasto caldo/freddo, forte/debole va placato, riequilibrato, perlomeno azzerato.
Cosa faccio io al termine di ogni formazione ben riuscita? Vado a scaricare l’adrenalina. Ed è il motivo per cui non faccio più lezione di sera: impossibile dormire bene dopo!
Insegnando spesso lontano da casa, ero costretta a “fare fatiche” extra: camminare fino alla stazione, stare in piedi sul treno (sì, questo in Italia è facilmente possibile!), cambiare treno, vivere la stagione quindi avere o molto caldo o molto freddo. Insomma, quando arrivavo a casa era uno straccio, ma senza più tensioni, se non la stanchezza. Quando invece la trasferta era brevissima (10 minuti di macchina), una volta a casa era l’inferno. Finché non ho capito come gestire la faccenda.
Bisogna necessariamente trovare il modo di scaricare l’adrenalina. E riuscire a dire come ci si sente a qualcuno che sa almeno ascoltare.
Scaricare l’adrenalina – Lasciare andare la veste dell’infallibilità
In quali modi si può scaricare l’adrenalina? Faccio qualche esempio. Correndo, nuotando, camminando, tirando pugni al sacco, urlando e arrampicando. Lascio spazio alla fantasia. L’importante è evitare di tuffarsi nel divano, perché insieme a voi si tufferebbero anche i vostri pensieri/tormenti. Abbiamo fatto il pieno di positività, è vero, ma non è la stessa cosa che aver fatto una passeggiata nei boschi; abbiamo preso su di noi le emozioni di altri (ed è per questo che siamo riusciti così bene). Forse abbiamo anche usato quell’empatia tattica necessaria per l’ottima riuscita relazionale. Ma tutto questo richiede una lucidità e un’attenzione che sfiancano.
Sei stato il maestro, il formatore, il professore; sei stato il dio / la dea della situazione: non hai potuto sbagliare; e sicuramente non hai sbagliato niente. Ora spogliati di quest’abito ingessante e nuota nella serenità di gesti che non hanno bisogno di concentrazione. Lascia andare te stesso nella tua umana, umanissima fallibilità e congratulati di quanta esperienza in più hai rispetto a ieri. Ma fallo dando bracciate nuotando o falcate correndo. Permetti al tuo corpo di fare ciò per cui è ancora settato naturalmente: muoversi.
Questo è ciò che mi ripeto ogni volta che termino una sessione d’aula magnifica. Questo è ciò che so che è importante fare. Per evitare che mi compaia in sogno di nuovo qualche allievo….
Esternare le emozioni – Ammettere le proprie resistenze
La seconda cosa che ritengo fondamentale al termine di qualche sessione formativa impegnativa è parlare con qualcuno e dire a ruota libera ciò che si ha dentro: reputo sempre salutare questa pratica. Chiarite magari prima che non avete bisogno di consigli, che avete solo bisogno di essere ascoltati e più di tutto abbracciati. Contemplate ad alta voce la fragilità della vostra umanità, vi siete dati completamente perchè l’altro avesse più possibilità.
Questo gesto incredibile racchiude uno sforzo immenso; e la gratitudine in genere non è sufficiente a rimettervi in equilibrio. Uno sforzo richiede una compensazione. Lasciate che qualcuno ascolti la fragilità che provate, ammettetela! Prendete atto dell’overdose di emozioni e sensazioni che avete vissuto. Se non avessi fatto così in quei 5 mesi di tour de force, sarebbe stato tutto molto più doloroso; abbiate un complice che sa di cosa avete bisogno dopo momenti del genere: si rivelerà prezioso. L’ascolto silente e presente vale più dell’oro!
Se può sembrare necessario farlo quando la sessione formativa non è andata bene, vi assicuro che è tanto più importante quando invece vi è stato riconosciuto merito della vostra bravura, perchè molti di noi hanno proprio la difficoltà ad accogliere un feedback positivo: questo ci sbilancia, ci fa perdere l’equilibrio, ci fa sentire sull’orlo di un abisso. Riconoscete ad alta voce che siete stati in gamba: vi è stato riconosciuto pubblicamente, in fin dei conti. Le prime volte sarà doloroso, ma poi ogni volta sarà una carezza, una riserva aurifera per quando invece ci saranno feedback negativi.
L’importanza della formazione dei formatori
Il dopo aula va inteso come un momento di rigenerazione necessaria, non si può saltare a piè pari. Fare formazione non è assimilabile a manovalanza spiccia, anche se sei bravissimo. Domani ci sarà un altro allievo a cui di nuovo vorrai dare il massimo. Se non hai scaricato, azzerato, ricaricato, avrai sempre meno da dare. Non riusciremo a lavorare con empatia.
Uno dei motivi per cui credo così tanto nella formazione dei formatori è proprio questo: senza adeguata preparazione in materia di comunicazione, pedagogia, motivazione, produttività e senza supervisione ex post, ci possono essere episodi capaci di sgretolarci, e non sono necessariamente episodi negativi perchè il modo in cui elaboriamo l’evento è molto soggettivo. Se invece in aula si entra “formati” si corrono meno rischi; e con una supervisione a cadenza regolare si vive meglio.
La formazione non è una sfida personale, ma un percorso di consapevolezza: più insegno, più conosco me stessa. Questo è a volte doloroso. Chi insegna ha bisogno di imparare a stare in equilibrio e tollerarsi tantissimo.
Il rischio che si corre, per dirla con le parole di Brecht, è questo:
“Durante i miei nove anni alle scuole superiori non sono riuscito a insegnare niente ai miei professori.”