L’ascolto attivo per gestire al meglio le relazioni lavorative
Una delle cose che tutti indistintamente ricerchiamo senza nemmeno accorgercene è di essere ascoltati; attivamente, se possibile. L’ascolto attivo infatti è quel fenomeno che quando avviene, io divento incredibilmente lucida e con un senso di fortificazione al termine del mio parlare. Se qualcuno mi ha ascoltato davvero, quell’aver parlato, anche senza apparentemente risolvere niente, in realtà è fortemente risolutivo.
L’ascolto attivo nelle relazioni lavorative
Hai mai sperimentato l’aiuto di uno specialista momentaneamente (e suo malgrado magari…) vestito da mentore e come la sua figura abbia agevolato il ragionamento?
Alzi la mano chi non è andato una volta nella vita da un qualsiasi medico e non gli abbia sfogato faccende della propria vita che di ambito medico non avevano nessuna caratteristica…
Siamo in tanti vero?
Non l’abbiamo forse adorato al termine della consulenza soltanto per averci ascoltato? Non ci ha fatto sentire incredibilmente “guariti”?
L’effetto placebo dell’ascolto! Ma è un placebo o veramente una medicina?
Lungi da me considerazioni di ambito medico però; rimango sulla gestione delle relazioni che è la mia materia e su come la parola crea, che è il mio motto.
L’ascolto che aiuta e ritempra: la parola crea
Una delle cose che tutti indistintamente ricerchiamo senza nemmeno accorgercene è di essere ascoltati; l’ascolto infatti è quel fenomeno che quando avviene, io divento incredibilmente lucida e con un senso di fortificazione al termine del mio parlare. Se qualcuno mi ha ascoltato davvero, quell’aver parlato, anche senza apparentemente risolvere niente, in realtà è fortemente risolutivo.
Per quale motivo parliamo e in caso di ascolto attivo poi stiamo meglio?
Vediamo prima che succede quando noi parliamo e l’altro dice che mi sta ascoltando, ma in realtà non è così. Fa finta? Non è detto! Non è una cosa semplice saper ascoltare, magari non sa come si fa.
In quel caso, non staremo meglio, azzardo a dire che staremo invece peggio, molto peggio; perché i nostri discorsi hanno preso una direzione vuoi cinica vuoi (auto)distruttiva o comunque stiamo viaggiando in solitaria: qualunque cosa diciamo ci stiamo parlando addosso. Alla fine, saremo stanchi e stremati, e per niente lucidi: che è la cosa peggiore…
Quando invece qualcuno ci ascolta attivamente, il nostro corpo comincia a percepire il beneficio del sentirsi sostenuto: alla base di ciò che ricerchiamo c’è il bisogno di appartenenza, sapere che qualcuno che ci è vicino non ci sta giudicando, spalanca le porte del “sentirsi a casa”.
Come imparare ad ascoltare attivamente
Non ero brava ad ascoltare, ho imparato e sto ancora imparando. Ho sperimentato che il mio lavoro migliorava moltissimo ascoltando i miei clienti.
Oggi riesco ad asserire che migliorando l’ascolto è migliorata la mia capacità competitiva. Anche perché più ascoltiamo, meno parliamo. E in questi paraggi del sillogismo, parlare poco vorrebbe dire riflettere maggiormente e prendersi più tempo per farlo.
Per fare il consulente di comunicazione, l’ascolto è determinante e il saper ascoltare poco mi penalizzava. Ho iniziato a registrare, col permesso del mio interlocutore. Riascoltando la conversazione a distanza di tempo, mi rendevo conto che ricordavo tutt’altro e che determinati concetti li avevo travisati. Non era certamente cattiva volontà di ascolto! Quello che accadeva ho capito essere una sorta di elaborazione in tempo reale di quello che l’altro mi diceva: anziché ascoltare, pensavo alle risposte: questo slancio mi faceva perdere i tre quarti dei contenuti.
Nel mio lavoro una delle cose più complesse che faccio è trasformare la richiesta del brand in comunicazione del brand: quando devo costruire la comunicazione ho bisogno di avere ben chiaro chi è il mio cliente e le sue peculiarità, altrimenti il sito che andrò a realizzare per lui sarà asettico, senza personalità, senz’anima. Ascoltare attivamente significa non solo ascoltare con le orecchie, ma anche… leggere con gli occhi!
Come diceva il filosofo Eraclito:
Gli occhi sono testimoni più fedeli delle orecchie.
Come si fa ad ascoltare attivamente
Ora che abbiamo capito che saper ascoltare non è un’azione così ovvia come si potrebbe pensare, passiamo a vedere a quali metodi si può ricorrere per comprendere quanto più possibile ciò che il nostro interlocutore ci dice.
Sto parlando dell’ascolto nelle relazioni lavorative.
Oltre a registrare, io adotto un’altra tecnica ancora: faccio scrivere molto. Mando questionari, scrivo mail con tante domande, chatto molto. Si, si può chattare con un cliente nel 2020, che discorsi…
Io capisco bene con gli occhi, decodifico con gli occhi, trovo soluzioni con gli occhi. Perché dunque farmi una colpa se con le orecchie non sono il top? Il fatto è semplicemente che il mio canale privilegiato sono gli occhi, quindi faccio di tutto per traslare l’ascolto sul piano della lettura.
Questa è una delle chiavi di volta per l’ascolto attivo: mettersi comodi sul proprio canale. Una mia cliente è bravissima a fare customer care (in inglese, pur essendo di madrelingua italiana!) via email: di persona non riesce nello stesso modo. L’ascolto attivo che lei riesce a dimostrare per iscritto fa scuola: e infatti la cito spesso nelle mie casistiche quando voglio far comprendere che significa “cura del cliente”.
Il trucco è che ognuno di noi stia nei suoi panni; e naturalmente quello che sto facendo mi deve interessare moltissimo. L’ascolto non attivo infatti, se volessimo definirlo con parole più estese e sotto forma di domanda, sarebbe:
“Che importanza ha quello che stai dicendo?”
Chiedo scusa se può sembrare ovvio, ma è un argomento così importante nelle relazioni che voglio correre il rischio dell’ovvietà.
Se tanto mi dà tanto, l’affermazione sottesa all’ascolto attivo è:
“Quello che stai dicendo mi importa tantissimo!”
Così tanto che uso tutti gli strumenti che mi possono coadiuvare in quest’azione.
La maggiore felicità nelle relazioni non è forse avere la certezza che l’altro ti ha ascoltato davvero?