Gestire i conflitti in azienda – La consulenza di comunicazione

Consulente di comunicazione aziendale

Un problema comune per chi lavora è di natura relazionale. Ci sono giornate (tipicamente è un giovedì o un venerdì) che partono con un caffè bruciato e finiscono imbottigliati nel traffico del rientro. In mezzo c’è stato gestire un cliente difficile, un capo capriccioso e la collega tipicamente dispettosa. La trama di questi conflitti è di matrice comunicativa; è la comunicazione che non ha funzionato, non dipende solo dalle intenzioni, ma soprattutto da come esprimo le intenzioni, da come le esprimono gli altri e se le parole che usiamo riescono a farsi portatrici delle reali intenzioni. E purtroppo non sempre chiusa la porta dell’ufficio, la faccenda è chiusa.

Gestire il conflitto in comunicazione – Il mio lavoro come consulente di comunicazione

La comunicazione efficace è una pietra filosofale che tutti cercano e che nessuno trova mai; a parte il nostro Francesco Uccellini che ci vuole vendere il suo corso di comunicazione a costo del nostro patrimonio mobiliare…

L’esperto di comunicazione sa che la comunicazione efficace è una comunicazione dove il vantaggio del nostro interlocutore è al centro. E perchè questo ci riesca, abbiamo bisogno di appurare come intendiamo noi stessi e il nostro ruolo lavorativo. La relazione commerciale, il negoziato più genericamente inteso presuppone una capacità relazionale. Non solo, presuppone un’intelligenza sociale, una capacità cioè di immedesimarsi nei pensieri e nella cultura del nostro interlocutore.

A.A.A. Esperto di comunicazione cercasi!

Un problema comune per chi lavora a stretto contatto con i clienti è proprio di natura relazionale. Sotto ai conflitti lavorativi c’è una matrice relazionale; è la comunicazione che non ha funzionato; gestire il cliente / il collega / il capo non dipende solo dalle nostre buone intenzioni, ma anche e soprattutto da come esprimo le intenzioni, da come le esprimono gli altri e se, sia io che il mio interlocutore, riusciamo a esprimere le reali intenzioni.
Capita che un collega dica buongiorno e sembra che dica:

«Vi odio tutti!».

Era realmente quella la sua intenzione? E se sì, come mai è sembrato che volesse dire, ma non ha detto esplicitamente il suo sentimento?
La comunicazione efficace è una parola che crea: se io riesco a esprimere ciò che veramente vorrei e se riesco a dire le parole necessarie, utili e positive, allora il mio discorso crea delle situazioni normalmente vantaggiose per tutte le parti in gioco.
Allora possiamo dire che la comunicazione contiene della magia: quella incredibile magia che si crea quando abbiamo detto ciò che per noi è liberatorio, ma l’altro non è ferito, né offeso, ma anzi ci capisce meglio di prima: lì è la parola che crea.
Quando invece nego me stessa, ho timore di dire ciò che realmente penso per paura di ciò che gli altri potrebbero pensare di me, si innesca una spirale di nebbia, il terreno diventa scivoloso, qualcuno rimane gelato e qualcun altro ha avuto ragione, creando danni relazionali difficilmente reversibili a quel punto.

L’esempio tipico di questa dinamica (un caso che mi riportò un mio docente di comunicazione e che cito spesso per spiegare quanto è facile che la comunicazione si inceppi) è quello dell’alcolista alle prese con sua moglie. Lui torna a casa dopo aver bevuto molto e, non appena entra, sua moglie urla:

«Smettila di bereee!»

E lui prontamente risponde:

«Io bevo perché tu gridiii!!!»

La ghigliottina della comunicazione: il pregiudizio

Entrambi son scivolati nel fosso; la buca non è stata evitata; il conflitto di comunicazione perdura.
Questa scenetta, a tratti buffa, a tratti amara, riepiloga in maniera molto efficace il modo in cui i buoni propositi spesso non vanno a buon fine, in che modo la comunicazione non raggiunge il risultato a causa dei pregiudizi e dei preconcetti. E tantissime volte a causa della permalosità.
In fin dei conti ciò che la moglie vuole fare è negoziare una modalità diversa, vorrebbe che il marito non bevesse più. Idem per il marito: vorrebbe che la moglie non gridasse più. Entrambe le loro posizioni non sono affermative, ma privative. Entrambi vorrebbero che i loro consorti non facessero più ciò che fanno. L’oggetto non è a fuoco.

Cosa rappresenta per me quella persona?
La focalizzazione riguardo ciò che voglio ottenere, è il punto cardine di ogni negoziato che voglia concludersi positivamente. Ogni vendita, relazione lavorativa in fondo è un negoziato: entrambe le parti vogliono un vantaggio. Se il vantaggio è avere ragione, inesorabilmente le parti potrebbero arrivare a una relazione distruttiva: io perdo e tu perdi, come nel caso della nostra coppia.

L’infernale gusto di “Avere ragione”

Avere ragione è un desiderio pericolosissimo di distruzione dell’altro: per avere ragione io, devo aspettare il momento di piazzarti la bomba che ti fa saltare in aria; la dinamica distruttiva non è un vantaggio per entrambe le parti, è un vantaggio per una sola parte. Ma è un vantaggio?

Faccio un esempio preso dalla vita di vendita concreta. Un’imprenditrice una volta mi raccontò di un cliente che era entrato in negozio e con fare «arrogante» aveva esclamato che i prezzi erano troppo alti per ciò che stava comprando. La donna mi raccontò di averlo guardato e di avergli urlato che poteva tranquillamente uscire e andare in un altro negozio; e con fare orgoglioso ci aveva concluso il racconto dicendo che il cliente era andato via con la coda tra le gambe.

«Oh, che soddisfazione!»

aveva esclamato nell’aula dove stavamo facendo formazione.

Il punto è proprio questo: l’ubriaco e la moglie provano ad amarsi, ma non amando se stessi, si fanno del male.
La titolare del negozio quando ha capito di aver mandato via un cliente malamente con tutto quello che ne consegue, si è stretta in se stessa e ha esclamato:

“Non so come si fa… Non lavoro perché mi piace, lavoro perché devo. Se potessi farei un altro lavoro…”

Cosa rappresenta per me quella persona? Quel cliente che ho buttato fuori dalla porta chi era per me? Chi gridava contro di me con la stessa arroganza? e io con chi me la sono presa realmente?

Faccio un lavoro che amo moltissimo e, ciò nonostante, capita anche a me di avere reazioni non propriamente sane; non si diventa immuni, credo; si impara a farsi la domanda giusta e non a logorarsi gratuitamente. Il pensiero critico è la nostra chance migliore.

Qual è il tuo tallone d’Achille nel lavoro?

Chi rappresenta per me quella persona? Rimane la domanda ultima che spiega e disvela tanti segreti.
Capita anche a chi non sembra avere il minimo problema di relazione. Ho visto un imprenditore veramente bravo nelle pubbliche relazioni andare in frantumi davanti a una situazione paradossale dal punto di vista della contrattualistica da non riuscire a credere che subiva in quel modo.
La vicenda fu questa: Al termine dei lavori fu strappato il contratto di incarico firmato da ambo le parti, dopo averlo portato a termine nel migliore dei modi. Non fu pagato per i suoi servizi, eccellenti peraltro. Lui non protestò, non denunciò, non si prese la benché pallida rivincita eventualmente. Puoi denunciarli, osai suggerire, ma senza ottenere risposte. E quando ogni tanto oso chiedere se ha dimenticato, lui replica: no.

Questo avviene perché ognuno di noi ha un tallone d’Achille: è forte nella gestione di determinate dinamiche, non lo è in altre. Se quel tallone non viene considerato, anzi rinnegato, diventa in grado di nuocere, diventa la porta d’accesso alla sofferenza.
Chi rappresentava per lui quella persona?

La sofferenza derivante dalle relazioni lavorative

Chi dice che i rapporti lavorativi non possano ferire gravemente dice una fesseria enorme! Ci si ammala per le relazioni lavorative dannose! Si perde il sonno, l’appetito, la calma: chi fuma, fuma di più; chi mangia molto, mangia di più; ogni mania diventa ossessione. E se non si esterna il problema alle persone giuste, spesso si finisce con l’essere anche derisi; o si può aver paura di essere derisi proprio pensando di manifestare il proprio disagio. Lo spettro della nostra educazione è lì appeso, non è andato via. Se da piccola i miei tentativi non riusciti sono stati derisi, al lavoro o avrò una spirito di rivalsa incredibile che non mi farà abbattere né temere sconfitte, oppure non tenterò nemmeno una volta, lascerò primeggiare altri perché la sconfitta comporterebbe derisione e delusione. Minare l’equilibrio così faticosamente raggiunto non è pensabile.
Chi è quella persona per me?